“I passeggeri parlano, le merci no. Le merci non sanno ribellarsi, fanno quello che vuole chi le gestisce. In futuro, anche le merci dovranno parlare”: programma ambizioso, quello del presidente dell'Unione interporti riuniti (Uir), Rodolfo De Dominicis, ma anche realizzabile grazie alla tecnologia. E al finanziamento da 22 milioni di euro concesso dalla legge Finanziaria 2006 al progetto Uirnet, con cui De Dominicis intende mettere in rete telematica le piattaforme logistiche italiane.

Che cos'è Uirnet?
“E' – risponde De Dominicis – una piattaforma hardware e software, che rappresenta il cuore del sistema multimediale che metterà in relazione gli interporti italiani. Gli interporti sono i nodi interni del sistema logistico italiano, di cui i porti rapppresentano invece i nodi esterni, mentre gli archi di collegamento sono strade, autostrade e ferrovie”.

Quanto costerà?
“Noi avevamo chiesto 30 milioni di euro. Nei mesi scorsi abbiamo presentato il piano economico, finanziario e tecnologico, come previsto dal decreto attuativo, comma 456, della Legge Finanziaria 2005. La nuova Finanziaria ci ha concesso 22 milioni di euro. Si perdono 8 milioni che speriamo di recuperare nel 2007. Inoltre, la legge prevede un cofinanziamento da parte nostra di 11 milioni, che troveremo sia con mezzi interni, sia dalle Regioni, che saranno coinvolte nel progetto, e dall'Unione europea, oltre che dai flussi di attività che Uirnet produrrà in futuro”.

Come verranno spesi questi soldi?
“Innanzitutto per realizzare il cuore di gestione della rete. Poi per i gate d'ingresso al sistema. Questi saranno dislocati in corrispondenza di alcuni nodi della rete, che individueremo con le Regioni. I finanziamenti serviranno inoltre a dotare gli utenti degli strumenti necessari per dialogare col sistema: palmari, transponder, eccetera. Per questo dico che le merci dovranno parlare”.

Questo sistema avrà ricadute anche in termini di maggior sicurezza?
“Sì, vogliamo evitare che le merci diventino veicolo di insicurezze. Potremmo trovarci in situazioni incresciose se qualche gruppo malintenzionato decidesse di approfittare delle grandi quantità di merce che circola nel mondo e anche in Italia. Da un lato dobbiamo augurarci che questo flusso cresca, ma dall'altro dobbiamo prendere atto che contiene motivi di insicurezza e quindi va opportunamente monitorato, non solo per conoscere la posizione della merce, ma anche per analizzare possibili manomissioni”.

L'Italia corre rischi reali?
“Segnali concreti di pericolo finora non ce ne sono stati, ma sappiamo che gli Stati Uniti si stanno attrezzando per prevenirli e l'Homeland Security, l'ente nazionale che coordina la gestione della sicurezza, controlla già adesso i container in entrata. Il problema del loro contenuto, insomma, è al centro dell'attenzione. In Italia ci sono progetti di securizzazione dei porti. Manca però un approccio di sistema. Se ogni nodo è sicuro, non significa che lo sia il sistema nel suo complesso. Non si può ragionare per pezzi. Il carico va fatto partire in sicurezza, ma poi è necessaria l'ispezione alla distribuzione, per essere sicuri che non coviamo pericoli. E infine ci vuole la detezione del carico durante il trasporto, che è quello che farà Uirnet. I protocolli di attuazione sono da studiare con il ministero dell'Interno, perché il problema delle merci è un problema di sicurezza del Paese. Abbiamo chiesto un tavolo di discussione, che però non si è ancora aperto”.

Non teme che la ricerca eccessiva di sicurezza finisca per penalizzare il commercio?
“Occorre porre dei limiti, non si può ad esempio lasciare una nave alla fonda per giorni. Generare una compressione insostenibile dell'attività renderebbe l'attività di trasporto antieconomica. La sicurezza è un problema che condiziona un mondo che vive grandi difficoltà. Bisogna trovare soluzioni con il buon senso”.