La società punta al terminal di Mumbai

 

Prove di pace tra India e Cina sulle banchine del porto indiano di Mumbai. Dopo un iniziale rifiuto motivato da ragioni di sicurezza, venerdì scorso il primo ministro indiano, Manmohan Singh, attraverso il suo addetto stampa ha annunciato il via libera ad Hutchison Port per concorrere all'assegnazione di un nuovo terminal container nel porto di Mumbai. Il progetto, un investimento previsto di 260 milioni di dollari, prevede tre attracchi e una capacità di movimentazione totale di 1,2 milioni di teu: “L'India saluterebbe con favore – ha dichiarato il portavoce – un coinvolgimento cinese nello sviluppo delle infrastrutture del Paese”.

 

In realtà, in un primo momento dal ministero della Difesa era arrivato un veto alla partecipazione di Hutchison Port alla gara per il terminal container, a quanto pare perché Mumbai sarebbe troppo vicina ad una base militare navale. Stessa sorte era toccata ad Evergreen, il gruppo di Taiwan.

 

Ora però entrambi i gruppi sono stati riammessi: Hutchison partecipa alla gara pubblica insieme alla società indiana Larsen&Toubro, specializzata nello sviluppo di macchinari pesanti ma senza esperienza nel campo dello shipping. Questa joint venture, secondo quanto riporta il Financial Times, sarebbe ora in pole position per l'assegnazione del terminal, insieme a Psa di Singapore e il gruppo indiano Ula.

 

Se Hutchison dovesse spuntarla, questo sarebbe il quarantaduesimo porto dove il gruppo di Hong Kong, capolista mondiale dei terminalisti con 48 milioni di teu manipolati nel 2004, mette piede. Ultimi successi della società, la joint venture col gruppo spagnolo Mestre, che ha permesso ad Hutchison di sbarcare a Barcellona, e la partecipazione allo sviluppo della seconda fase del porto di Yangshan, l'isola dove i cinesi progettano di raddoppiare i traffici di Shanghai. Tuttavia, fino ad ora in India Hutchison non aveva mai messo piede. Uno degli impedimenti, nel passato, è stata soprattutto la diffidenza politica nei confronti del governo cinese, che però sembra essere superata dopo la visita del premier cinese Wen Jiabao a New Delhi lo scorso aprile. Vi sono però anche ragioni più strettamente economiche: l'India, secondo quanto annunciato a fine anno dal ministro dello shipping, ha in programma un piano di investimenti in infrastrutture portuali di 22 miliardi di dollari. Data la difficoltà di sovvenzionare queste nuove opere solamente con fondi statali, l'India va alla ricerca di investitori stranieri, tra cui un posto di primo piano potrebbe essere occupato proprio dalla Cina. Dopo il via libera per Mumbai, Hutchison potrebbe riattivare un suo progetto, in passato accantonato, per un secondo terminal container nel porto di Chennai, nel sud del Paese.

 

L'India, nei suoi otto maggiori porti nazionali, nel 2004 ha movimentato 3,8 milioni di teu, 2,4 nel porto di Jawaharlal Nehru, dove operano Maersk e P&O e dove è prevista la costruzione di un quarto terminal container. Il tasso di crescita a livello nazionale dei traffici containerizzati è del 15% annuo. Secondo il Fondo Monetario internazionale, nei prossimi cinque anni l'India potrebbe raddoppiare le sue esportazioni (70 miliardi di dollari nel 2004), mentre l'import potrebbe addirittura triplicare rispetto ai 90 miliardi di dollari del 2004.


Sa. C.