Gli operatori portuali di Ancona hanno lanciato l'allarme sull'applicazione del piano della security nel loro porto, approvato nel giugno del 2006. Spedizionieri, agenti marittimi e spedizionieri doganali sono preoccupati per il modo in cui l'Autorità portuale starebbe portando avanti l'infrastrutturazione dello scalo nella zona storica. A rischio sarebbero i traffici ro-pax, cioè quelli che viaggiano sui traghetti. Nei mesi scorsi non è stata persa occasione per richiamare le “difficoltà tecniche e operative – recita una nota degli spedizionieri doganali – conseguenti allo spostamento e al frazionamento operativo dell'attuale stazione marittima”. La stazione marittima è quella dove si comprano i biglietti e si eseguono i controlli. Insomma, si tratta di un caso esemplare di contraddizione fra le esigenze della sicurezza e quelle della merce. Il Journal of Security ha ascoltato il presidente degli agenti e spedizionieri di Ancona, Renato Morandi, per capire quali sono i problemi sul tappeto e come la comunità portuale dello scalo dorico propone di risolverli.
“Per gli operatori – comincia Morandi – l'impatto del piano non è sostenibile per i traffici. E' un problema d'infrastrutture. Le scelte fatte possono causare rallentamenti. Invece la direttiva dell'Unione europea in materia è chiara: i piani non devono causare rallentamenti, con riferimento proprio al traffico ro-pax. Se no, finisce che per prendere un traghetto bisogna presentarsi il giorno prima”.

L'elasticità nell'imbarco sui traghetti è invece essenziale, anche all'ultimo minuto. Quali sono in concreto i problemi sorti a Ancona?

“Ci sono conseguenze sulla viabilità. Visto che non si potrà più usufruire della vecchia stazione marittima, che si trova all'interno dell'area protetta e non può essere raggiunta se non si ha un'autorizzazione, si pensa di delocalizzarla fuori dall'area portuale. Ma ciò provoca due ordini di problemi. Il primo è che mettendola lontana dalle banchine mancherebbe la flessibilità per gli imbarchi di camion e auto. L'altro aspetto è che fare il check-in all'esterno significa che i passeggeri dopo il controllo e prima di imbarcarsi si troverebbero di nuovo fuori dall'area protetta, vanificando l'obiettivo che si vorrebbe raggiungere”.

Esistono alternative a questo piano?

“Io non sono un esperto di security. Sto semplicemente analizzando i fatti. Noi vogliamo che il porto rispetti le norme Imo, ma si deve trovare una soluzione meno costosa e penalizzante. Il controlo della security in questo tipo di attività (cabotaggio, autostrade del mare) è certamente difficile. Sono d'accordo con quanto detto dal presidente di Assoporti, Francesco Nerli, all'ultimo Sea Trade che si è svolto a Napoli: le misure di security per il cabotaggio devono essere meno ridondanti per non penalizzare i traffici. I traghetti sono come autobus, le strategie possono essere applicate in tanti modi come telecamere, controlli a campione… L'Autorità portuale pensa giustamente a ottemperare le norme, ma non si è preoccupata di migliorare anche i flussi”.