Il Ministero dello Sviluppo economico condanna le azioni che verrebbero attuate per rallentare l’attività nei porti

Si sta dilatando la divergenza tra il governo spagnolo e i sindacati sulle modalità con le quali deve essere cambiata la normativa nazionale sul lavoro portuale per adeguarla alla legislazione dell’UE così come sollecitato lo scorso anno dalla Commissione Europea. Lamentando che la Spagna non ha ancora provveduto ad allineare le proprie norme a quelle comunitarie, Bruxelles ha infatti nuovamente deferito la Spagna alla Corte di Giustizia dell’UE che già l’11 dicembre del 2014 aveva emesso una sentenza con cui aveva stabilito che la legge spagnola in materia non è conforme alla legislazione europea.
Dopo l’incontro dei giorni scorsi tra il ministro dello Sviluppo economico, Íñigo de la Serna Hernáiz, e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, che ha evidenziato la notevole distanza tra le parti, la situazione si è rapidamente inasprita con proteste che hanno notevolmente rallentato l’attività nei porti spagnoli, soprattutto nei tre principali scali nazionali di Algeciras, Barcellona e Valencia.
Ieri il Ministero dello Sviluppo economico ha lanciato un appello al dialogo e alla responsabilità al fine di raggiungere un accordo sul lavoro portuale, ha condannato le azioni per rallentare l’attività nei porti diminuendone l’efficienza ed ha censurato «gli atti di vandalismo e di sabotaggio che – ha precisato il dicastero – secondo le imprese si stanno verificando». Inoltre il Ministero ha esortato a ripristinare un clima di normalità e di dialogo ed ha richiamato al rispetto del diritto di sciopero specificando che in tale ambito sono previsti i servizi minimi stabiliti prima della proclamazione dei giorni di sciopero fissati per il 20, 22 e 24 febbraio prossimi.
Ricordando che la riforma della normativa nazionale sul lavoro portuale risponde ad un obbligo stabilito da una sentenza dell’Unione Europea, il Ministero ha sottolineato che il governo sta dialogando incessantemente da due anni con le imprese e con i sindacati e che oggi, nella sede del dicastero, è previsto un nuovo incontro con i rappresentanti della parte datoriale e dei lavoratori.
«I limiti della trattativa – ha specificato il Ministero in una nota – sono quelli segnati dalla Commissione Europea che ha già espresso la propria contrarietà rispetto alla creazione di un registro nazionale dei lavoratori portuali, così come propongono i sindacati. Questo – ha ricordato il dicastero – è proprio uno dei punti contenuti nel documento firmato dalle imprese terminaliste e dai sindacati. In data 27 luglio 2016 – ha ricordato inoltre il Ministero – la Commissione Europea ha risposto al Regno di Spagna che il registro non può essere creato. “La lista dei dipendenti”, dice testualmente la lettera inviata dal direttore generale dei Trasporti e della Mobilità della Commissione Europea – ha reso noto il dicastero – “deve essere tenuta a livello aziendale. Non deve essere costituito alcun registro nazionale”».
Il Ministero dello Sviluppo economico ha sottolineato infine che se prossimamente l’Unione Europea emetterà una seconda sentenza avversa alla Spagna, ciò comporterà per la Spagna il pagamento di una sanzione giornaliera pari a 134mila euro che si aggiungerà alla multa di 21,5 milioni di euro a cui già ora la Spagna deve far fronte.
Ieri il sindacato Coordinadora Estatal de Trabajadores del Mar ha ribadito invece che «sia le imprese sia i lavoratori ritengono che l’accordo da loro firmato, in cui è previsto un registro dei lavoratori portuali messo a disposizione delle varie imprese in ogni porto, risponde chiaramente alla sentenza europea che al paragrafo 44 indica che la Convenzione 137 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro non è incompatibile con l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che si riferisce alla libertà di stabilimento».
«Il paragrafo 44 della sentenza – ha rilevato l’organizzazione sindacale – recita come segue: “infine, la Commissione sostiene che le disposizioni della Convenzione n. 137, in materia di ripercussioni sociali dei nuovi metodi di movimentazione delle merci nei porti, in alcun caso obbligano gli Stati che hanno ratificato la Convenzione ad imporre restrizioni come quelle previste dalla normativa portuale spagnola. In realtà, esempi di norme portuali in vigore in altri Stati membri, nei quali si stabiliscono misure conformi all’articolo 49 del TFUE come quelle di cui la paragrafo 42 della presente sentenza, dimostrano che la tutela dei lavori portuali e il rispetto della Convenzione n. 137 possono essere garantiti da tali misure”».
Inoltre il sindacato Coordinadora ha sottolineato che sta proseguendo la sottoscrizione dell’accordo sul lavoro portuale tra imprese e organizzazioni sindacali con l’obiettivo di rispettare i termini della sentenza dell’UE, intesa che è stata siglata sinora da 46 società terminaliste, tra cui – ha evidenziato il sindacato – alcune tra le più importanti presenti in Spagna.
Coordinadora ha specificato che i lavoratori sono convinti che il modo migliore per riformare il sistema del lavoro portuale sia quello basato sul consenso. «I lavoratori portuali – ha concluso il sindacato – mantengono la stessa disponibilità a trattare con il Ministero che avevano annunciato a febbraio 2015 ad Ana Pastor». Parole, queste, con le quali forse il sindacato esorta il ministro Íñigo de la Serna Hernáiz a fare qualche passo indietro e a tornare sulle posizioni della Pastor, che è stata a capo dello stesso Ministero fino allo scorso luglio, che erano certamente più vicine a quelle dell’organizzazione sindacale.

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