Il modello Venezia per ora scontenta un po’ tutti, sindacati e imprenditori. Ma è molto probabile che si partirà da qui per costruire il nuovo sistema di organizzazione del lavoro sui moli di tutta Italia. Venezia una sorta di prova generale della riforma nazionale? Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale, lascia capire che potrebbe essere così: «Le bozze di riforma che ho visto io, in effetti, sono molto simili a quanto stiamo sperimentando qui, anche se non c’è stato nessun accordo. D’Altronde la regola aurea per fare le riforme è proprio scontentare un po’ tutti…».

 

È quello che è successo a Venezia. Gli scontri, le riflessioni, anche le polemiche che da circa un mese animano i moli veneti potrebbero quindi essere quelli che, amplificati, presto potrebbero coinvolgere l’intero panorama nazionale. Domani a Genova, a Palazzo San Giorgio, il senatore Luigi Grillo illustrerà le ultime ipotesi di riforma della legge sui porti, l’84/94, nel corso di un convegno organizzato dalla Cisl. Per ora, il papà della riforma che deve arrivare si mantiene prudente: «Non faremo una legge per riaccendere lo scontro sociale sulle banchine. Ma sarà una riforma che dà fiducia ai privati, ai terminalisti, allo loro capacità di investire».

 

Per ora, i sindacati restano diffidenti. «L’ultima bozza che ho visto io e che risale a ieri sera – spiega Massimo Ercolani, responsabile nazionale dei porti per la Filt Cgil – è molto simile al modello veneziano. Sembra quasi che la riforma voglia sanare una situazione di fatto, presente in molti porti oltre che a Venezia, niente affatto corrispondente alla legge nazionale. Un modello che incentiva il lavoro in appalto e la frammentazione delle aziende che operano in ambito portuale. Non si rilanciano i porti italiani risparmiando sui salari dei lavoratori: è sbagliato, oltre che ingiusto».

Il modello veneziano battezzato da Paolo Costa dopo quattro anni di dibattiti è in verità un giro di vite rispetto al far west, come dicono i sindacati, o alla positiva liberalizzazione, la chiamano invece gli imprenditori, che ha dominato questo porto negli ultimi anni.

 

Sui moli veneti, infatti, operano una moltitudine di società cui i terminalisti appaltano gran parte del lavoro. Esiste poi una ex compagnia portuale, la Nuova Clp, con più di 100 lavoratori, che fornisce anch’essa la manodopera ai terminalisti e, inevitabilmente, entra in conflitto con le altre società cui viene dato lavoro in appalto. Ma mentre le altre società forniscono lavoro, mezzi e di fatto gestiscono da sè un pezzo del ciclo portuale, la Nuova Clp fornisce solo manodopera. «La nuova organizzazione voluta da Paolo Costa ben venga se definisce regole chiare sul chi fa cosa, altrimenti ci si ruba il lavoro uno con l’altro. Ma se non esistono sanzioni per chi sgarra, allora tutto rimane sulla carta» spiega il presidente della Nuova Clp Davide Tassan.

 

La riforma-sperimentazione varata da Costa lo scorso 18 giugno pone limiti e paletti ben precisi al ricorso al lavoro in appalto che, spiega il presidente, «non deve eccedere il 50% dell’intero carico di lavoro di un terminal». Vengono definiti i compiti che possono essere svolti da società esterne e quelli che, per questioni di sicurezza, invece vanno internalizzati. Le autorizzazioni ad operare come società che prestano servizi portuali, infine, saranno rilasciate tramite gara pubblica nel numero massimo di tre proprio per evitare un’eccessiva frammentazione. «Così non succederà più che lavora solo l’amico di uno piuttosto che di un altro. So di scontentare qualcuno…» chiude il presidente dell’Autorità portuale ed ex europarlamentare.

 

Tutto bene, dunque? No perché oltre ai dubbi dei sindacati – un modello ideale è per loro quello che vede dipendenti dei terminalisti ed ex compagnie al lavoro sui moli con appalti esterni ridotti al limite o azzerati, come di fatto succede a Genova – vi sono i dubbi anche degli imprenditori. «Con questi paletti – sbotta il vicepresidente del terminal Multiservice, Pierluigi Penzo – dare il lavoro in appalto sarà pressoché impossibile, i sindacati dovrebbero esultare. Io l’ho detto al presidente: come ex dirigente dell’Autorità portuale bisogna capire se si vuole rilanciare i porti o difendere i privilegi dei portuali».

 

Il braccio di ferro, è iniziato. Ora a Venezia, ben presto su tutti i moli italiani.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 30.07.2009)