In un'Italia afflitta da
problemi di crescita economica e di scarse risorse destinate alla
produzione, non decolla l'interesse dei media per un tema come la security nei trasporti che invece riguarda sempre più la vita di tutti.

La falsa apparenza, quindi, è che l'argomento sia marginale.
Neanche gli utenti, anzi gli “attori” del trasporto si rendono conto
che gli organismi nazionali e europei operano senza sosta e introducono
nella legislazione italiana elementi mutuati dalla esperienza della security statunitense e canadese.

In Italia è prossimo il recepimento di importanti cambiamenti
nella normativa Adr 2005, di prossima pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale. In sostanza, si tratta della riscrittura
dell'Adr 2003, con l'aggiunta di un intero capitolo di
“disposizioni riguardanti la sicurezza” nel trasporto su strada di
merci pericolose (1.10 )

Ad una lettura superficiale sembra di vedere il solito allegato
destinato agli esperti di classificazione dei materiali e delle merci
pericolose soggette a particolari trattamenti e cautele nel corso del
viaggio.

In realtà si introducono concetti dirompenti e a nostro parere forieri di sviluppi incontrollabili.

Vogliamo attirare l'attenzione su due aspetti molto importanti. Il
primo aspetto è l'estensione della definizione di trasporto a
tutta la catena logistica.

Si spiana così la strada all'applicazione delle normative
più restrittive del trasporto anche a passaggi, finora rimasti
esclusi, del magazzinaggio interno. Questi passaggi erano
sostanzialmente esterni rispetto a controlli sofisticati o addirittura
a ogni tipo di controllo, se non quello operato con il criterio del
buon padre di famiglia da migliaia di piccole aziende italiane.

Lo stesso vale per quelle operazioni di parcheggio dei mezzi di
trasporto merce, sinora tollerate ovunque all'ingresso dei porti e
spesso anche lungo le strade cittadine. Gli operatori spesso si
rivolgono al Cisco per sapere con quale senso o criterio le
autorità preposte ad autorizzare l'ingresso delle merci
pericolose all'interno delle zone portuali a esse dedicate -e quindi
immaginiamo (e lo speriamo) munite di vasche di raccolta di
colatura liquidi, santabarbara, idranti, pompieri e quant'altro venga
imposto ai gestori dei parchi per le merci pericolose- se
decidono di vietare l'ingresso a questi carichi per motivi cartolari
(mancanza di richieste di scarico od altro) e rispediscano bellamente,
magari il venerdi sera, vere bombe viaggianti sulla pubblica strada.
Fingendo di ignorare che l'autista, non potendo più rientrare
con la merci a stabilimento e data la frequente assenza o lontananza di
parchi dedicati ai prodotti pericolosi, è costretto
italianamente ad arrangiarsi; il più delle volte questo si
risolve col posteggiare il rimorchio sui lungomare. Ma allora i parchi
servono o non servono a tutelare la nostra (pubblica)
incolumità? Ci piacerebbe sentire qualche risposta da chi
è chiamato a occuparsene.

Il secondo aspetto meritevole di attenzione, a nostro giudizio,
è rappresentato dal titolo del capitolo 1.10.31.1, laddove si
chiarisce che “per merci pericolose ad alto rischio si intendono quelle
che, sviate dal loro utilizzo iniziale per fini terroristici, possono
causare effetti gravi quali perdite numerose di vite umane o
distruzioni di massa”.
Concesso che la tabella 1.10.5 restringe il campo delle stesse,
ciò non toglie che molto evidentemente si introduce
improvvisamente nella legislazione del trasporto concetti molto cari ai
legislatori statunitensi come al ben noto Bonner, direttore delle
dogane statunitensi, ai quali dobbiamo l'istituzione della Container security iniziative, ma soprattutto del C-tpat.
La nostra preoccupazione è che l'introduzione di questo concetto
e l'adozione dei piani di sicurezza obbligatori sfocino in una
normativa destinata a complicare la vita degli operatori del trasporto
perché mancano quei presupposti infrastrutturali necessari a
semplificare i controlli.
E' norma elementare nel trasporto che tutto quanto è complicato
diventi un costo. Che questo costo si ribalti sul prezzo delle merci
è un'altra legge economica. Purtroppo, e torniamo così
alla premessa da cui siamo partiti, il Paese non può permettersi
un ricarico di costi per la sicurezza che non gioverebbe alle nostre
merci esportate con un ulteriore effetto depressivo su una situazione
economica già non felice.
Salvo non ribaltare i termini, valorizzare ciò che oggi sembra
un gravame e giocare la carta del valore aggiunto di una sicurezza
certificata lanciando il marchio “Security certified
per il nostro export. E questa è proprio la sfida su cui
vogliamo stimolare l'interesse delle nostre istituzioni e, speriamo,
anche dei colleghi dei media.