Marco Sironi, laureato in ingegneria presso l'Università degli Studi di Genova, è oggi a capo dell'Ipsc (Institute for the Protection of the Citizen), un istituto di ricerca con sede a Milano, creato e finanziato dalla Commissione europea all'interno del Jrc (Joint Research Centre). A lui abbiamo posto alcune domande sui progetti che sta sviluppando con il suo team e sugli scenari futuri che il mercato della sicurezza, in particolare quella dei container, potrebbe riservarci.

Intanto una premessa. E' diffusa, secondo lei che occupa un punto di osservazione privilegiato in questo settore, la coscienza del problema della sicurezza?

«Lavoro nel campo della sicurezza da ormai tre anni e mi sento tranquillamente di affermare che c'è una coscienza del problema della sicurezza. Da un lato la necessità, ma soprattutto la richiesta di sicurezza sta aumentando, ma, dall'altro lato, non bisogna dimenticare che stiamo parlando di un sistema dall'equilibrio molto precario e pieno di svariati interessi. È palese come un forte aumento dei costi dei trasporti porti inevitabilmente a un forte squilibrio del commercio globale. Ci sono alcuni fattori, quali la pressione statunitense e una presa generale di coscienza del problema, che spingono per un aumento della sicurezza, ma il processo di adattamento è molto lento. Prima di migrare verso le tecnologie che possono garantire maggiore protezione alla merce e ai cittadini, tutti gli operatori dovranno essere convinti che tali prodotti possono portare solamente miglioramenti e vantaggi. La situazione generale, però, è molto migliorata rispetto ad alcuni mesi fa, quando l'interesse per queste nuove tecnologie era solamente ad un livello di pura curiosità».

Che cosa rappresenta il Jrc e qual'è il ruolo dell'Ipsc?
 
«Il Jrc è una direzione generale della Commissione Europea che opera al servizio dell'Unione. Associando industria, università e istituti nazionali degli Stati membri, il Jrc sostiene le politiche dell'Unione europea e fornisce un riferimento scientifico e tecnico indipendente alla Commissione, al Parlamento Europeo, al Consiglio e agli Stati membri. L'Ipsc, che insieme all'Ies (Institute for Enivironment and Sustainability) e all'Ihcp (Institute for Health and Consumer Protection) compone il Jrc, si occupa di progettazione e test di sistemi per la sicurezza dei cittadini. Per la precisione sviluppiamo sistemi di sicurezza per il materiale nucleare e per la sicurezza della supply chain: ad esempio del trasporto dei container o del riciclo della spazzatura. Ci occupiamo anche dello studio e implementazione di nuove tecnologie come Sesamonet (Security and Safety Mobile Net), un sistema che mappa con una serie di transponder passivi un determinato percorso, come potrebbe essere la zona pedonale di una città per guidare persone cieche». 

Quali sono i metodi di lavoro impiegati e come viene finanziato l'Ipsc?
 
«L'Ipsc ha principalmente tre fonti di finanziamento, che poi rispecchiano anche i tre modi di lavoro che vengono impiegati dal laboratorio. La principale fonte di finanziamento è data dal budget di ricerca e sviluppo base. Ogni anno ci viene assegnato un finanziamento dalla Commissione Europea che rappresenta la fonte di sostegno per i progetti che sviluppiamo al nostro interno. Una seconda fonte di finanziamento è rappresentata dalle attività che svolgiamo sul libero mercato, in competizione con altri soggetti. L'Ipsc può partecipare a gare d'appalto per aggiudicarsi lo sviluppo di un nuovo progetto o di una nuova tecnologia. Infine l'Ipsc può partecipare ad attività che rientrano nel cosiddetto programma quadro (framework) che viene emesso ogni quattro anni (quale e da chi?) e al quale possono partecipare anche enti e industrie che non rappresentano la Commissione europea». 

Quali sono i prodotti per i container che state sviluppando?
 
«Sul mercato dei container, l'Ipsc si sta muovendo su due fronti. Da un lato punta alla progettazione di sigilli muniti di transponder sia attivi che passivi; dall'altro mira a sviluppare un sistema in grado di controllare completamente l'ambiente interno del container e di comunicare eventuali effrazioni tramite la rete Gsm. E' importante sottolineare come i due filoni di progettazione presentino caratteristiche fondamentali molto diverse tra loro. Mentre i sigilli elettronici muniti di transponder necessitano di un'infrastruttura alle spalle che consiste nei dispositivi di lettura delle informazioni memorizzate al loro interno, il sistema di controllo interno non necessità di nessuna infrastruttura aggiuntiva e, altro aspetto importante, si basa su standard di comunicazioni riconosciuti a livello mondiale quali le reti Gsm e Gps. L'Ipsc non si limita a progettare queste tecnologie, ma si occupa anche della loro costruzione e soprattutto dei test. L'Ipsc punta molto sul testing dei suoi prodotti per dimostrare ai terzi che si tratta di tecnologie funzionanti».  

Come vede l'evoluzione del mercato per questi prodotti?
 
«Esiste una forte inerzia nell'implementazione di questi sistemi. Rappresentano un qualcosa di nuovo e, come ogni innovazione nel campo della logistica, vengono visti con paura e diffidenza dagli operatori. I test che noi portiamo a compimento e i loro risultati, seppur ottimi, non basteranno mai per spingere verso un'implementazione di questi sistemi. Solamente quando uno o più operatori adotteranno diffusamente e con successo tali tecnologie, allora si potrà osservare una vera spinta nell'adottarle».