Lo scorso 12 dicembre, con l'annuncio della vendita al gruppo assicurativo Aig (American International Group) dei sei terminal statunitensi di P&O, DP World è ufficialmente uscita di scena dal mercato portuale americano. Era quanto volevano i più convinti assertori della sicurezza nelle infrastrutture americane ed è stato il risultato di uno scontro fra presidente e Congresso quale raramente si è visto a Washington. George W. Bush, che era favorevole all'ingresso della società terminalistica di Dubai sulle banchine Usa, ha dovuto piegarsi alla volontà dei parlamentari non solo democratici, ma anche del suo stesso partito repubblicano, che vedevano la gestione araba come una minaccia alla sicurezza nazionale. Tutto concluso, dunque? Negli stessi giorni di inizio dicembre un'altra notizia viene a seminare dubbi su quella vicenda. A livello internazionale, infatti, gli Stati Uniti continuano a tessere la loro tela per garantire la sicurezza dei carichi in arrivo alle loro frontiere. Dopo l'iniziativa per la sicurezza dei container (Csi), ormai adottata in più di 40 porti di tutti i continenti, ne è stata lanciata una nuova, mirata al controllo di materiale radioattivo. Si tratta della Secure freight intiative (Sfi) di cui parliamo nella “news” in questo numero del Journal e di cui è partita la prima fase sperimentale. Qual è il maggior partner degli Usa in questo delicato progetto? Qualcuno potrebbe stentare a crederlo, ma si tratta proprio di Dp World. Sono suoi, infatti, ben tre dei sei terminal scelti dall'amministrazione statunitense per testare i rilevatori di radioattività che, se l'esperimento andrà a buon fine, verranno diffusi anche in altri scali a rischio. I terminal di Dp World sono quelli dei porti di Qasim in Pakistan, Southampton in Gran Bretagna e Busan in Corea del Sud. Può sembrare paradossale che quello che da un lato è visto come una potenziale minaccia, tanto da far passare in secondo piano il proverbiale liberalismo dell'economia statunitense e costringere a vendere chi aveva vinto una regolare gara internazionale, dall'altra diventi un prezioso collaboratore proprio in materia di security. Dovrebbe essere interesse di tutti fare chiarezza su questo punto: c'è stato un eccesso di “legittima difesa” o effettivamente il gigante Usa aveva qualcosa da temere? Se le motivazioni non fossero valide, spingere Dp World a vendere non è stata, voluta o non voluta, una distorsione della concorrenza a favore di investitori nazionali? La gestione della security, proprio per la posta in gioco, non può prestarsi a strumentalizzazioni di altro tipo e neanche al dubbio che ciò avvenga.