Fra i porti italiani, quello di Gioia Tauro è quello con i maggiori collegamenti internazionali. Lo scalo aderisce al Csi statunitense ed è anche stato teatro di diversi episodi di allarme sicurezza. Alcuni mesi fa una nave di passaggio qui fece scattare un allarme radioattività, poi risultato infondato. Sempre a Gioia Tauro venne trovato un viaggiatore clandestino all'interno di un container attrezzato per una lunga permanenza. Sospettato di essere un terrorista, l'uomo venne poi rilasciato, ma dal suo caso nacque l'esigenza di norme internazionali che si tradussero poi nel codice Isps. Per conoscere meglio la realtà del porto calabrese il Journal of Security ha intervistato il responsabile della sicurezza del terminal container, Francesco Taccone.
Che problemi di security deve affrontare un grande porto internazionale come Gioia Tauro?
“La presenza all'interno della struttura portuale stessa della guardia costiera, della polizia di frontiera, della guardia di finanza e dei vigili del fuoco rappresenta, insieme ai sistemi di sicurezza passiva e attiva del terminal, un valido deterrente contro eventuali atti ostili. Il monitoraggio delle navi che giornalmente scalano Gioia Tauro e il conseguente elevato numero di membri degli equipaggi, spesso di diversa nazionalità, sono due degli aspetti critici e per questo sono tenuti in particolare considerazione.
Ci sono particolarità dovute alla specializzazione di Gioia Tauro come porto di transhipment, che ne rendono differenti le procedure rispetto agli altri porti?
“Le procedure di security applicate sono uguali a quelle di un porto tradizionale”.
Le normative per aumentare la security introdotte negli ultimi anni (in particolare da Italia, Unione europea, Imo e Stati Uniti) sono sufficienti o voi operatori della sicurezza pensate che servirebbero nuove misure?
“La protezione del trasporto marittimo e delle attività portuali dipende in gran parte dal livello di sicurezza delle altre modalità di trasporto situate a monte; ciò significa che occorre migliorare la sicurezza della catena logistica nel suo complesso. Il C-Tpat e l'Isps hanno reso possibile il coinvolgimento in materia di security di tutti i componenti la catena stessa, attraverso un continuo e puntuale scambio di informazioni”.
Nei fatti non ci sono stati episodi clamorosi di allarme sicurezza che abbiano coinvolto le grandi infrastrutture dei trasporti negli ultimi anni: pensa che ci sia stato una sopravvalutazione del fenomeno dopo l'11 settembre?
“La Solas 74 prima dell'11 Settembre normava la security solo ed esclusivamente per la parte riguardante le navi. L'emendamento del 12 dicembre 2002, codice ISPS parte A e B, ha di fatto inserito nuove regole con lo scopo di migliorare la sicurezza marittima, includendo in queste, per la prima volta, le strutture portuali”.
Secondo la sua esperienza, gli operatori logistici (spedizionieri, autotrasportatori, porti e armatori) si sono adeguati alle nuove misure di sicurezza o le sentono ancora come un peso che frena i flussi di merce?
“Si sono adeguati, aiutati in questo anche dalle nuove tecnologie che permettono di trasmettere dati e informazioni in tempo reale”.