Si arricchisce sempre più il dibattito internazionale sulle ricadute economiche delle misure di security. A esserne protagonisti sono Stati Uniti e Unione europea e il tema all'ordine del giorno è quello degli investimenti. L'Europa si lamenta del protezionismo malamente mascherato da sicurezza che porterebbe avanti l'alleato mentre, al contrario, il caso Dp World sta provocando un'ulteriore stretta legislativa a Washington.
Nel suo ventiduesimo rapporto annuale sulle barriere agli investimenti negli Stati Uniti, che passa in rassegna gli ostacoli incontrati da importatori e investitori europei sul mercato statunitense, la Commissione europea ha segnalato che, nonostante i progressi in molti campi, le “restrizioni al commercio e agli investimenti non possono essere giustificate sulla base della sicurezza nazionale se in realtà sono essenzialmente di natura protezionistica e servono scopi diversi”. Insomma, una bacchettata in piena regola al principale partner commerciale, con cui avvengono scambi per 420 miliardi di euro all'anno. L'alleato non sembra però intenzionato a cambiare linea. La Camera dei Rappresentanti ha appena approvato un nuovo “bill” destinato a far discutere, dopo quello sul controllo del 100% dei container. La nuova legge, votata all'unanimità da Democratici e Repubblicani, assegna maggiori poteri al Committee on Foreign Investments in the United States (Cfius), incaricato di vagliare gli investimenti stranieri in aziende statunitensi. In pratica verrà chiesto al Cfius di procedere con più attenzione e in un periodo di tempo più lungo per valutare le richieste. La molla di tutto è proprio il caso P&O-Dp World. La legge di riforma è stata presentata al Congresso lo scorso anno, dopo che il Cfius aveva approvato l'acquisto di alcuni terminal statunitensi da parte del terminalista di Stato di Dubai, Dp World. Secondo i rappresentanti del Congresso, il Cfius non si era dato abbastanza tempo per considerare le implicazioni sulla sicurezza di quell'acquisto.