L’accordo fra Senato e Camera dei rappresentanti, per ora solo informale, raggiunto pochi giorni fa negli Stati Uniti sulla legge per il controllo del 100% dei container marittimi provenienti dall'estero ha riacceso, in un’estate già calda, il dibattito sulla security. Il Journal of Security segue con attenzione il caso già dall’inizio del 2007, raccogliendo i timori degli operatori dello shipping e la loro strenua opposizione a questo progetto. L’obiettivo, che traspare anche solo implicitamente in ogni discorso su questi temi, è quello di capire quali sono i limiti da porre per non trovarsi in un mondo imbalsamato invece che in un mondo più sicuro.

L’impressione è che manchi il coraggio di affrontare la discussione, per diversi motivi. Da un lato c’è l’imbarazzo di parlare del prezzo, non solo finanziario, delle misure di security, come se questo significasse mettere sulla stessa bilancia il denaro e la perdita di vite umane. Chi invita a procedere con razionalità lo fa quindi con cautela, per evitare di ricevere questo tipo di accusa. Dall’altro lato c’è la sensazione che si vada a aprire un altro discorso molto delicato, che va oltre la semplice gestione della catena del trasporto delle merci: quello sull’entità del rischio. La misura di questa entità è assegnata in parte a agenzie pubbliche – i servizi di intelligence – che nel recente passato hanno ampiamente dimostrato la loro inattendibilità, per non dire parzialità, in vista di scopi diversi da quello della sicurezza pubblica. E’ però anche vero che finora e finché uno Stato non sperimenterà sistemi diversi e più trasparenti, sempre da lì bisogna passare: o informazioni dubbie o nessuna informazione.

Il mondo dei trasporti deve quindi rassegnarsi a non sapere in futuro se l’allarme a cui sta facendo fronte è effettivo o esagerato? L’asticella verrà posta sempre più in alto, salvo poi scoprire che nella rete protettiva sotto di essa si aprono ampie maglie? A pochi mesi dall’11 settembre, quando si cominciò a parlare di Csi e Isps code, nei porti italiani capitava di sentir dire: “Bisogna accontentare gli Americani”, col sottinteso che a volte l’importante non era la reale sicurezza di un terminal, ma l’immagine di efficienza che si dava all’estero, da allentare quindi appena la tensione fosse calata. Questo discorso è stato ben presente ad esempio nel settore dei traghetti, dove i controlli di auto e camion risultano molto problematici senza adeguate tecnologie. E proprio sullo sviluppo delle tecnologie si concentra il dibattito in corso nel Parlamento statunitense a proposito delle realizzabilità dei controlli su tutti i milioni di container che entrano nel paese. Il compromesso che pare sia stato raggiunto prevede un periodo di transizione di cinque anni, fra l’approvazione della legge e la sua applicazione, per pemettere di dotare i porti delle attrezzature necessarie, soprattutto scanner, e per dare il tempo al segretario generale dell’Homeland security department (Dhs) di presentare le proprie critiche. Ma c’è chi continua a ritenere che un approccio alla questione basato sulla risposta agli effettivi livelli di rischio fosse la soluzione migliore.