Ufficialmente, una petroliera su cinque è greca. E sarebbe già un’enormità. In realtà sono molte di più, come si premura l’ultimo dossier Gibsons sulle tanker, in cui viene sottolineato come al 18% di petroliere di proprietà ellenica, bisogna aggiungere poi tutte quelle navi comprese in flotte quotate a New York e a Londra, e che – nascoste spesso in compagnie dai nomi anglofoni – celano in realtà padroni con casa ad Atene e dintorni.

 

La Grecia, come l’Italia, è da sempre terra di navigatori, e la sua leadership non dovrebbe stupire più di tanto, ma in un mercato ormai veramente globale com’è oggi quello dello shipping, non è facile restare davanti, nonostante la tradizione. I greci, a quanto pare, ci riescono, come dimostra anche la fetta di nuovi ordini ai cantieri avvolti nella loro bandiera, il 17%: una cifra che ricalca all’incirca la flotta già presente.

 

Seguono giapponesi, norvegesi, statunitensi. Particolare è la situazione americana: che dimostra tutto il loro potere finanziario, totalmente scollegato da un reale coinvolgimento diretto tra i mari del mondo. Visto che solo una minima parte delle petroliere di proprietà Usa batte anche bandiera americana: insomma, si investe, si toccano i soldi e si spostano i pacchetti di azioni, poi a sporcarsi le mani nei porti ci vadano gli altri.

Al quinto posto ci sono i tedeschi, che controllano il 5% delle petroliere. Ma il futuro, come in quasi ogni settore, è destinato a parlare cinese: entro il 2012 Pechino entrerà nella top five. E probabilmente, nel giro di qualche anno, rischierà di piazzarsi proprio dietro ai greci, unica costante in un modo in piena evoluzione. Lo dimostra anche il ruolo sempre più importante giocato dai mercati: oggi, il 31% delle tanker è di proprietà di una compagnia quotata in Borsa. Solo pochi decenni fa era impossibile prevederlo. Come possono raccontare schiere di armatori, in larga parte greci, che gestivano le compagnie come una vecchia azienda di famiglia.

 

Nikolas Tsakos è il ceo di una compagnia di navigazione quotata a New York, la Tsakos Energy Navigation. Lui, il futuro non lo vede roseo ma nemmeno nero. Che le cifre siano lontanissime da quelle pre-crisi è indubbio, ma i noli a settembre toccavano a malapena i 10.000 dollari e ora sono saliti sino a 35.000. Il peggio, secondo lui, è ormai alle spalle. E le nuove rate coprono in modo più che dignitoso le spese, riuscendo a generare profitti in grado di ridare ossigeno al mercato.

 

Insomma, a quanto pare c’è ancora speranza a buttarsi nel business delle tanker. Anche il gruppo giapponese Mol, operatore di una fra le prime flotte mercantili mondiali, focalizzerà maggiormente i suoi investimenti sulle petroliere e sulle gasiere piuttosto che sulle portacontainer. La flotta di Mitsui Osk Lines è già costituita da circa 488 navi, di cui più di 200 fra tanker gas carrier. Ma probabilmente il rapporto di forza si sbilancerà presto a favore di quest’ultime.

 

Mol, in realtà, è già leader nel settore delle gasiere Lng con la prima flotta mondiale (e il trasporto di circa un quarto del gas liquefatto). Nel settore delle petroliere, la flotta Mol comprende già navi Vlcc, Suezmax ed Aframax. Sul fronte delle portacontainer, dal mese di marzo a oggi, ha invece ridotto la propria flotta da 115 a 98 navi. Grandi strategie e movimenti, quindi, in attesa dei cinesi.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 09.12.2009)