Il porto di Genova riapre il libro dei sogni. Dopo il sostanziale fallimento del primo grande disegno di riassetto delle banchine uscito dalla matita di Renzo Piano – quell’Affresco presentato nel 2003 e che mai ha superato lo stadio della “suggestione” – un nuovo maxi-progetto si affaccia all’orizzonte. Questa volta si parte però da basi più solide: tre Regioni – Piemonte, Lombardia, Liguria – si impegnano a verificare in un anno se è possibile – come sostiene il Siti del Politecnico di Torino – movimentare sulle banchine di Voltri dieci milioni di container ogni 12 mesi grazie a un sistema di colllegamento con treni navetta verso i piazzali in Piemonte. Nel 2008 ci si è fermati poco sopra il milione, anche se la capacità è di 2 milioni.

La lettera che ufficializza l’adesione al comitato che dovrà verificare la fattibilità del progetto è stata firmata nei giorni scorsi dai governatori Roberto Formigoni, Mercedes Bresso e Claudio Burlando. In calce c’è anche la firma di Luigi Merlo, presidente dell’Autorità portuale di Genova. «Circa un anno – spiega il professore Riccardo Roscelli – per verificare se si può fare». Roscelli è il presidente di Siti, l’istituto del Politecnico di Torino che da anni è impegnato a sviluppare l’idea del “bruco”, da anni fortemente caldeggiato dall’armatore Bruno Musso. Il “bruco” é il nome appioppato al collegamento navetta su binari tra Voltri e i retroporti nell’alessandrino che dovrebbe permettere, caricando direttamente i container sui treni, di stoccare la merce in Piemonte trasportandola attraverso un tunnel lungo 35-40 chilometri. Secondo Musso – e non è il solo – si tratta dell’unico maniera possibile per risolvere il cronico problema genovese della mancanza di spazi fronte mare.

Diversi progetti sono stati presentati nei mesi scorsi. Il Secolo XIX oggi presenta l’ultima versione realizzata con la collaborazione dell’Urban Lab voluto dal sindaco di Genova Marta Vincenzi per ridisegnare la città e a cui collabora Renzo Piano. Torna la firma del grande architetto, all’interno di un disegno che però vede questa volta al centro lo sviluppo portuale. Il bozzetto riprodotto qui a fianco è eloquente: il ponente genovese sarebbe completamente rivoluzionato, anche se i lavori saranno concepiti in modo da non stoppare l’operatività in banchina. Costi: quasi 4 miliardi, «ma si può far ricorso al project financing ripagando l’opera in 17 anni» sostiene Roscelli.

Rispetto a progetti di ampliamento ipotizzati e poi abortiti negli anni scorsi, questa volta l’impatto sull’abitato dovrebbe ridursi: la banchina si “stacca” da terra per diventare un’isola collegata a terra da un sottile collegamento per i treni navetta. L’impatto visivo dovrebbe essere ridotto con la creazione di una collina artificiale – una sorta di risarcimento alla città – nel lato di Ponente, che quindi sarebbe in parte restituito agli abitanti. La diga foranea si allarga per accogliere i binari e le gru che permetteranno di scaricare – in maniera completamente automatizzata – le grandi navi oggi in uso nel mondo. Le simulazioni eseguite dicono che si possono accogliere portacontainer lunghe sino a 430 metri, quando oggi non si va oltre ai 400. Obiettivo: mille treni al giorno verso l’interno, 10 milioni di container.

Dieci milioni è la cifra magica sbandierata a inizio mandato dal sindaco di Genova, Marta Vincenzi, per il porto del futuro. È soprattutto un concetto: Genova diventa una piattaforma che serve tutta l’Italia del Nord ma che è capace di incunearsi anche oltre, “rubando” fette di mercato agli scali del Nord Europa nel centro del continente, sfruttando le potenzialità aperte dai grandi tunnel realizzati dalla Svizzera, il Loetscheberg e il Gottardo. È sula base di questa idea – quella di una ritrovata centralità del Nordovest italiano, che, lo scorso ottobre, Piemonte e Lombardia hanno detto sì.

Le incognite sono molte. Hanno a che fare con le prospettive economiche, l’iniziativa politica. E non solo: la sindrome Nimby, il rifiuto della cittadinanza di accettare infrastrutture ingombranti sul proprio territorio, aleggia oggi in Piemonte. Un unico punto del progetto non è stato infatti definito: ovvero dove sbuca il tunnel e dove si realizzeranno, quindi, i piazzali per lo stoccaggio dei container. Si tratta di spazi enormi: più di 5 milioni di metri quadrati. La prima settimana di giugno si vota per le provinciali ad Alessandria e, secondo alcuni osservatori, proprio per questo la Regione Piemonte non vuole svelare prima dove sorgerà il principale “porto secco” di Genova. L’ipotesi più probabile, anche per ridurre l’impatto ambientale della galleria, sarebbe però Novi Ligure. Ma al momento di compiere la scelta si tratta di imboccare un percorso corretto per coinvolgere la popolazione spiegando costi e benefici – anche occupazionali – dell’operazione. E sarà forse questa – se la storia del Corridoio V racconta qualcosa – la parte più difficile.

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 10.02.2009)