Esordio di Antonio Benvenuti, il nuovo console della Culmv, ad uno dei più tradizionali appuntamenti dello shipping genovese, l’assemblea degli agenti marittimi. Benvenuti scuote i terminalisti e chiede un confronto con l’Autorità portuale, ma c’è da dire che ieri a palazzo San Giorgio sono tremate le finestre.

 

Perché all’assemblea, che poi è uno dei termometri più sensibili dell’umore genovese sulle banchine, era palpabile la sensazione di un porto sull’orlo di una crisi di nervi.

 

Ma partiamo da Benvenuti. «Se va avanti così, noi in due anni chiudiamo – dice il console -. Ma chi soffre non siamo solo noi, c’è anche qualche azienda, strutture più concentrate, più piccole. Però non si può pensare che qualcuno sprofondi, e poi chi rimane, rimane. Quindi – continua il Benvenuti – oltre alle grandi e giuste discussioni necessarie per il porto, ci vuole una regia, che secondo me dovrebbe essere guidata dall’Autorità portuale, che discuta le questioni “ultracontingenti”».

 

Ad esempio «un piccolo ufficio promozione dei traffici, un ragionamento per evitare la concorrenza tra un terminal e l’altro, o su come si possa presentare Genova a quello che ancora rimane del mercato. Credo – conclude il console – che questo tavolo delle questioni contigenti fino a questo momento non sia stato un granché valutato e credo che invece sia una delle cose da fare. Altrimenti ognuno per sé, ma così non ce la facciamo».

Poi Benvenuti passa ai terminalisti: «Ho cercato di far notare lo squilibrio che c’è tra gli effetti della crisi, con un calo dei traffici che è visibile nei metri lineari e nei contenitori, e la ricaduta in termini di giornate lavorate mancanti della compagnia». Insomma, il sospetto che Benvenuti butta lì è che certi terminalisti facciano fare ai propri dipendenti il lavoro che spetterebbe alla Culmv. Per carità, «non voglio lanciare chissà quale guerra» dice Benvenuti, ma «ci sono dei terminal, c’è un terminal, che presenta molti segnali di ripresa». L’identikit sembra essere quello del Vte. «Menomale, ma di questi segnali di ripresa noi non ne abbiamo beneficiato, anzi abbiamo toccato il minimo storico. Ci vuole un po’ più di equilibrio».

 

E intanto, nella sala del Capitano, il presidente di Assagenti, Nanni Cerruti, metteva meticolosamente il dito in ogni piaga del vecchio porto, dai ricorsi che in molte aree bloccano lo sviluppo dello scalo, alle infrastrutture bloccate, alle manovre ferroviarie, di cui ancora non è chiaro il destino. Facendo arrabbiare il numero uno dell’Authority, Luigi Merlo. Che ha chiesto un po’ di ottimismo da parte degli operatori, pur ammettendo «che molte cose a Genova non si fanno da decenni». Ma oggi, si sta muovendo ben più di qualche cosa: «Siamo il porto più dinamico d’Italia, stiamo muovendo risorse, attuando progetti, realizzando opere importanti». Sarebbe necessario che gli operatori imparino a “vendere” questi aspetti di Genova, medita Merlo.

 

Poi è arrivato il botta e risposta tra Alessandro Repetto, presidente della provincia di Genova, e il leader degli industriali, Giovanni Calvini. Anche a Repetto la relazione di Cerruti non piace. Non c’è autocritica, sembra che gli imprenditori non abbiano responsabilità sulla situazione attuale del porto. Repetto tira poi in ballo il tema Ferport, l’azienda delle manovre ferroviarie che sembra destinata a scomparire dal porto, lasciando a piedi 113 persone.

 

Gli imprenditori vorrebbero l’autoproduzione, cioè operare da soli le manovre all’interno delle loro aree. «I temi sociali sembra non interessino alle imprese» conclude Repetto. Ma Calvini non ci sta: «La richiesta di autoproduzione è legittima, e gli imprenditori sono un stufi di sentirsi gettare la croce addosso, quando siamo i primi a cercare di difendere la competitività del porto e di conseguenza il lavoro. Dov’era la politica quando gli organici di Ferport crescevano a dismisura?».

 

Ieri, in serata, Repetto ha spiegato che la sua critica sulla vicenda dei servizi ferroviari portuali «è rivolta a Trenitalia. Per questo ho chiesto la sospensione della pratica Ferport. È scandaloso che la società faccia chiudere l’azienda e chieda l’ autoproduzione pensando inoltre di lasciare agli enti locali la soluzione del problema dei lavoratori».

 

(da: shippingonoline.ilsecoloxix.it dell’11.06.2009)