La crisi, scoppiata un’estate fa, morirà d’estate. E non c’è posto migliore per dirlo che sotto il sole di Sorrento, dove ieri si è tenuta la quinta edizione di Mare Forum-Maritime Italy. «I semi da cui nascerà la ripresa economica sono già stati gettati e cominceranno a farsi largo nel trimestre di quest’anno», dice Guy Verberne, di Fortis Bank Nederland. A quanto pare questi semi attecchiranno particolarmente bene su porti e banchine per poi dare i loro frutti a metà 2010.

 

Lo ha sottolineato ieri il presidente di Confitarma, Nicola Coccia, ricordando come da sempre sia lo shipping il vero termometro dell’economia: «Saremo noi armatori a guidare la ripresa, grazie alle nuove regole che il settore si è dato e si darà, grazie alla demolizione, già iniziata, del naviglio più vecchio e meno sicuro». Coccia, ribadisce poi il concetto con una punta d’orgoglio quando ricorda che sono gli italiani, in questo momento, a godere di miglior salute, nonostante la tempesta che si è abbattuta sui traffici marittimi del pianeta: «Gli armatori italiani hanno nel proprio portafoglio ordini per 220 navi. E tali rimarranno. Quasi nessuna cancellazione».

 

Una bella vittoria per un armamento di tradizione famigliare, spesso sbertucciato all’estero per quella che veniva definita mancanza di coraggio, e che oggi, con una crisi in atto che ha ribaltato prospettive e giudizi, viene chiamata lungimiranza, oculatezza negli investimenti: come i contratti di noleggio a lunga durata, blindati (o quasi), che danno modo agli armatori di non navigare mai troppo a vista. E forse, anche se qui nessuno lo dice, vanno ringraziate quelle banche italiane che in passato non hanno elargito a destra e a manca prestiti con la stessa frequenza e generosità di altri istituti di credito europei e americani.

 

Coccia ha poi definito «fuori dall’ordinario» l’ultimo quinquennio, tanto per la crisi, quanto per il boom dei traffici che l’ha preceduta: «Tra il 2005 e il 2008 i traffici marittimi sono aumentati del 22% e la capacità di carico globale ha superato il miliardo di tonnellate». L’Italia ha saputo anche rinnovarsi: oggi infatti può contare su una flotta (cresciuta del 23% dal 2005 al 2008) molto giovane, composta per il 61% da navi con meno di dieci anni di età. Basi solide, quindi.

Ma da soli gli italiani non possono imporre il cambio di marcia. Decisiva sarà la solita Cina, la cui ripresa viene invocata da tutti: broker, armatori, banchieri. Serve un Pil che torni a salire, a Pechino come in India (dalla doppia cifra del 2007 si è arrivati al 6,5% e al 4,5%). Serve una ripresa dell’import e dell’export: in tre anni, nel mondo, erano cresciuti del 75% e 77%. Ma hanno fatto prestissimo a scendere: -20% l’export, -19% l’import nell’arco dell’ultimo trimestre 2008.

La salvezza sta a Oriente, su questo non ha dubbi nemmeno il gran cerimoniere di Maritime Italy 2009, Giuseppe Bottiglieri: «Un anno fa avevo detto che un Pil cinese in doppia cifra avrebbe donato prosperità a tutti. Le cose sono cambiate e bisogna rimboccarsi le maniche, capire come uscire tutti insieme dalla crisi. Senza fare l’errore di lasciare che il mercato si regoli da sé». «L’anno scorso – prosegue Bottiglieri – i noli avevano raggiunto prezzi folli, i noli erano arrivati a 280.000 dollari al giorno. Prezzi drogati. Pochi mesi fa siamo scesi sotto la soglia minima, ma oggi siamo sui 26.000 dollari al giorno. Non sono cifre da capogiro ma io dico che vanno più che bene».

 

Sono in linea con quelle di luglio 2007, vero spartiacque per gli armatori secondo Bottiglieri: «Chi ha comprato nuove navi fino a quella data può ritenersi tranquillo, chi lo ha fatto dopo, con l’impennata dei prezzi, decisamente meno». Eppure Bottiglieri non pare così dispiaciuto di quel che è accaduto: «Il vero armatore si è tutelato, ha fatto delle coperture. I problemi li avrà chi ha cercato di speculare». A quel punto, per Bottiglieri, chi rimarrà a galla avrà modo di lavorare in un mercato in qualche modo ripulito.

 

Per l’armatore napoletano un ruolo decisivo lo giocheranno i cantieri, che non possono più solo costruire «ma dovranno in parte convertirsi in luoghi di riparazione e demolizione». «Per le demolizioni potrebbero essere gli Stati ad aiutare i loro cantieri con incentivi ad hoc, penso a Cina, Corea e Giappone». Per il resto, e su questo tutti sono d’accordo, bisogna sfoltire le flotte, la cui capacità di carico va oltre la domanda attuale e forse futura: «Solo nel dry bulk, con una flotta attuale di 6.056 navi, ce n’erano in ordine altre 3.219. Demolendo quelle più vecchie di 20 anni, che sono 1.983, ne rimarrebbero troppe». Circa 1.100 di quelle in ordine sono già o saranno presto cancellate. Nonostante tutto i conti non tornano. Sempre troppe». L’appello di Bottiglieri sembra quello di un padre di famiglia più che di un imprenditore: «Facciamo fronte comune e capiamo insieme a cosa si può rinunciare». D’altronde la fine del tunnel pare sia vicina. E allora meglio rivedere la luce tutti assieme che in ordine sparso.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 12.05.2009)