Mentre il mercato dei noli crollava, loro pensavano a come ingrandire la loro flotta. Armatori privati cinesi: gente che si è avventurata con poche navi di seconda mano nel mondo dei carichi secchi, quel fiume di carbone e minerale di ferro che ogni giorno arriva nei porti del Gigante giallo, e va ad alimentare la sua crescita senza sosta. Si sono lanciati nel traffico internazionale. Nei cantieri intorno a Shanghai hanno conosciuto altri armatori. Italiani: le rinfusiere ormai si costruiscono tutte qui.

 

La crisi, questi armatori cinesi, non l’hanno mai conosciuta per davvero. Anzi, l’hanno cavalcata come un’onda. Portandosi dietro un soggetto per certi versi inatteso: il Rina, Registro navale italiano. Il motivo è semplice: gli enti di certificazione devono seguire le navi per tutta la loro vita, dal momento in cui vengono progettate fino a quando navigano in mare. Il registro cinese ha la pecca di essere troppo regionale. Pochi uffici sparsi in giro per il mondo. Invece gli italiani hanno deciso di fare battaglia proprio su questo punto: la capillarità. Perché una nave ferma costa in media 10 mila dollari al giorno. Meglio avere un “surveyor” in loco, piuttosto che aspettare che questo arrivi con l’aereo.

 

Perché questi cinesi hanno cavalcato la crisi? Il motivo lo spiega Antonio Pingiori, managing director della divisione Marine del Rina: «Gli armatori con cui lavoriamo sono una quarantina: grandi soggetti, come ad esempio la compagnia di Stato Cosco, ma anche armatori di dimensioni più ridotte». Società che sono cresciute grazie al robusto piano d’investimenti della Cina, messo in opera già alle prime avvisaglie della crisi economica. Incentivi ai cantieri, ma sostegno anche alle compagnie che importavano le materie prime per tenere in piedi il gigante giallo.

 

In questo modo, Pechino ha sorretto le società di Stato. Che spesso, a loro volta, hanno noleggiato navi a compagnie private. «Hanno cominciato a guardarsi sul mercato – spiega Pingiori – rilevando magari alcune commesse che erano state abbandonate da altri armatori che non hanno potuto onorare le pendenze con i cantieri navali. Oppure hanno comprato vecchie cisterne destinate alla rottamazione, e le hanno riconvertite in grandi rinfusiere». Oggi il Rina gioca proprio sulla sua ramificazione. I “big” di questo settore, come l’Abs o il Lloyd’s Register, si sono già attrezzati.

 

Ma il Rina è alle loro spalle: presente in Cina dal 2007, gestisce una flotta da oltre due milioni di tonnellate, gran parte di questa è stata accumulata proprio negli anni più bui della crisi. La riorganizzazione del settore Marine suddivide il mondo tre grandi aree: Asia, Europa e America. Ognuna di queste ha propria autonomia sulla gestione tecnica e l’approvazione dei disegni, operazioni che precedentemente erano concentrate a Genova. In totale, il Rina ha 77 uffici all’estero.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 05.05.2010)