“Il fermo dei servizi di autotrasporto è un atto ingiustificato che fa male all’Italia e agli imprenditori onesti”. E’ quanto dichiarato dal Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Guido Improta nel corso dell’assemblea generale di ANITA, in riferimento al fermo proclamato dall’8 al 13 luglio prossimo da Trasportounito. “Il fermo è un’azione che reca vantaggi a chi opera border line e a chi vuole fare demagogia”. “Occorre scegliere sempre la legalità e il senso di responsabilità. Anche le situazioni più difficili non possono giustificare episodi di violenza come quelli a cui abbiamo assistito nei mesi scorsi”, è l’appello del Sottosegretario alla platea di imprenditori. “L’autotrasporto è un settore importante per l’economia italiana che movimenta più dell’’80% delle merci in Italia e non ha bisogno di assistenzialismo”, ha poi detto Improta. “Basta essere autoreferenziali. Se questo settore continua a perseguire l’assistenzialismo politico ed economico non ha prospettive. Lo dico agli imprenditori, che rappresentano le grandi imprese di autotrasporto che in quanto tali hanno imparato a confrontarsi sul mercato internazionale, accettandone la competizione e la selezione che ne deriva”. Riduzione della pressione fiscale, interventi sul costo del lavoro, tavoli di confronto con la committenza, risorse strutturali e selettive sono le proposte fatte da ANITA che rappresentano gli elementi essenziali per ristrutturare il settore e renderlo competitivo. La tassazione e i costi elevati hanno raggiunto livelli insostenibili nel nostro Paese. Nel 2011 la pressione fiscale sulle imprese è arrivata al 68,5%. L’Italia ha il primato della pressione fiscale sul costo del lavoro con il 42,3% a fronte di una media europea del 33,4%. A queste condizioni è difficile competere e per le imprese italiane è forte il rischio di destrutturazione e delocalizzazione. Sono le imprese con dipendenti ad essere maggiormente penalizzate dall’elevato costo del lavoro e molte di queste sono spinte a spostare la propria attività all’estero dove i costi sono molto più bassi. “Dobbiamo creare le condizioni affinché le imprese forti restino in Italia”, ha dichiarato il presidente Arcese. “Per il nostro Paese sarebbe una grave perdita in termini di entrate tributarie, fiscali e di posti di lavoro.” “Su cento veicoli immatricolati all’estero, ad esempio, l’erario perderebbe quasi otto milioni di euro l’anno. Numeri che fanno riflettere e devono spingerci ad accelerare i processi di riforma del settore e di riduzione dei costi e livelli di tassazione”. “Bisogna rendere strutturali le misure sulla riduzione del costo del lavoro e prevedere sgravi contributivi alle imprese che assumono padroncini che vogliono lasciare l’attività e a coloro che si impegnano a rendere stabile l’occupazione o ad incrementare livelli occupazionali”. Il problema, però, non è solo quello dei costi: “sarebbe riduttivo affermare che un'impresa apre un'attività all'estero solo per ridurre i costi. Dipende anche dal sistema delle regole e dal ruolo centrale che viene dato all'impresa in quei Paesi. Gli imprenditori si muovono secondo logiche di convenienza e di mercato. All'estero rimborsano l'IVA a 30 giorni. I clienti pagano nei tempi concordati. La competizione si gioca sul mercato e non nelle aule dei tribunali o attraverso denunce il più delle volte anonime. La civiltà del Paese si misura anche in base all'efficienza della pubblica amministrazione, che riduce i tempi e la mole della burocrazia.”