Martedì scorso, in occasione dell’assemblea della Confitarma ( del 26 giugno 2018), il presidente della Confederazione Italiana Armatori, Mario Mattioli, non lo aveva chiamato in causa esplicitamente, ma parlando di preoccupazioni suscitate «da numerose e disordinate iniziative mediatiche» che, prendendo strumentalmente spunto da preoccupazioni di natura occupazionale, rischiano di compromettere le basi dello sviluppo della nostra flotta», aveva inequivocabilmente lasciato intendere che promotore delle iniziative mediatiche è Vincenzo Onorato, patron del gruppo Onorato Armatori che opera attraverso le compagnie di navigazione Moby, Tirrenia e toremar.
Il punto del contendere è la recentissima entrata in vigore della norma (la cosiddetta Legge Cociancich) che stabilisce che le navi ro-ro e ro-pax iscritte al Registro internazionale che operano servizi di cabotaggio in Italia possano accedere a benefici fiscali e sgravi contributivi esclusivamente se i loro equipaggi sono composti di marittimi italiani o comunitari. Mattioli aveva specificato che «un irrigidimento della composizione degli equipaggi in termini di nazionalità, pur con apparenti benefici conseguenti soprattutto per la media e bassa forza, in realtà appesantirebbero il gap competitivo già esistente tra la nostra e le altre bandiere comunitarie, spingendo il nostro naviglio all’estero».
Prevedibile, anzi scontata, la replica di Vincenzo Onorato che, riferendosi al rinnovato stemma della Confederazione Italiana Armatori in cui al centro è stato posto il tricolore della bandiera italiana, ha ribattuto che «non è sufficiente cambiare il logo della Confitarma per auto-qualificarsi difensori dell’italianità e degli italiani; anzi, questa presunzione di italianità – ha affermato Onorato – diventa grottesca nella Confederazione degli armatori italiani, che tutela e fornisce copertura agli armatori che nella composizione degli equipaggi delle navi che battono la nostra bandiera italiana, continuano a privilegiare in stragrande maggioranza l’imbarco di extracomunitari sottopagati, mentre i nostri connazionali restano a casa disoccupati a fare la fame».
Secondo Onorato, «l’ipocrisia di Confitarma è in modo paradossale messa a nudo proprio dalle dichiarazioni del presidente Mattioli, che ripete a ogni occasione il compitino scritto dal suo azionista di riferimento, Manuel Grimaldi (past president di Confitarma, ndr). Ovvero proprio da chi, in totale spregio e violazione del decreto Cociancich e quindi di una legge dello Stato che, ribadisco, è a tutti gli effetti vigente, agisce come se questa legge non esistesse perseverando ormai illegalmente nell’utilizzo di personale marittimo extracomunitario».
«E – ha proseguito il presidente del gruppo Onorato Armatori – chi dovrebbe vigilare su questa violazione di legge, gli organi dello Stato, o non sono in grado di farlo o si astengono dal farlo, consentendo agli armatori di continuare a beneficiare, in modo del tutto illegale, di quel quasi totale esonero dal pagamento delle tasse che sarebbe dovuto a chi rispetta le leggi e imbarca solo personale italiano o comunitario».
«Tre giorni orsono – ha aggiunto Onorato – il vice-premier e ministro del Lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio ha affermato: se prendi i soldi dello Stato e delocalizzi, li devi ridare con gli interessi, sennò da qui non ti muovi. Una presa di posizione, quella del vice-premier, che fa chiarezza in modo definitivo: chi delocalizza attività ed ha beneficiato di agevolazioni, se viola i patti e trasferisce la sua attività prima dei dieci anni dalla data di conclusione dell’agevolazione, rischia sanzioni da due a quattro volte il beneficio ricevuto».
«Basta prese in giro – ha denunciato Onorato – basta “marchette” pagate a presunti imprenditori che dell’Italia apprezzano solo la capacità di farsi sfruttare. E questo principio deve valere anche per gli armatori italiani, ponendo in essere un meccanismo sanzionatorio e vincoli che condizionino le agevolazioni fiscali ai parametri in tema di utilizzo di marittimi italiani e comunitari che erano alla base della tonnage tax e del registro internazionale. In parole semplici: hai beneficiato delle esenzioni fiscali e previdenziali, non rispettando le norme e sommando ai benefici di legge anche i vantaggi derivanti dallo sfruttamento di manodopera extracomunitaria sottopagata? Ora paghi: il che significa che non solo restituisci tasse e contributi dai quali eri stato esentato, ma che, in virtù delle sanzioni, queste somme possono e devono anche essere doppie o quadruple rispetto all’ammontare dei benefici di cui si è approfittato in modo fraudolento».
L’analogia con le delocalizzazioni che il vice- premier Di Maio vuole colpire e sanzionare – ha sostenuto ancora Vincenzo Onorato – ci sta tutta: gli armatori hanno sede stabile in Italia e navi in giro per il mondo, ma questi stessi armatori “dimenticano” che la nave, ovunque essa si trovi, è un pezzo di territorio italiano. «Per la nave quindi – ha sottolineato Onorato – la delocalizzazione non è un fatto geografico ma sociale e occupazionale: riguarda cioè la struttura della composizione dell’equipaggio».
Specificando che la legge 30 del 1998, nata proprio per garantire la sopravvivenza di una flotta mercantile italiana e per tutelare l’occupazione dei marittimi italiani, ha garantito agli armatori privilegi unici nel panorama industriale nazionale, con la quasi totale esenzione fiscale, sgravi contributivi per gli equipaggi ecc., Onorato ha affermato che tuttavia «troppi armatori furbescamente hanno eluso la legge, e continuano a farlo imbarcando sostanzialmente equipaggi extracomunitari sottopagati».
«Sono fiducioso – ha concluso Vincenzo Onorato – che questo governo, attraverso questo nuovo e giusto decreto, costruisca un argine contro quella che è una cinica operazione di killeraggio sociale e presenti il conto a questi armatori italiani che di italiano hanno solo il nome e che dall’ormai lontano 1998 perseguono impunemente solo i loro interessi. Lo Stato potrebbe recuperare miliardi di euro, i nostri marittimi disoccupati un posto di lavoro che spetta loro per legge. Per entrambi, Stato e marittimi, si tratterebbe di recuperare la dignità alla quale hanno diritto».
A conclusione di questa filippica, che il nostro quotidiano ha voluto riportare per intero, noi di inforMARE siamo più perplessi di prima circa la vocazione di Onorato: l’armatore di Moby e Tirrenia è un imprenditore oppure un tribuno? Non che queste attitudini debbano per forza di cose essere disgiunte. Onorato ha ampiamente dimostrato di possedere le capacità per costituire un importante gruppo armatoriale e ha più volte mostrato anche la propensione a far valere le proprie ragioni con doti non inferiori di oratore infuocato. Tuttavia, se il suo obiettivo è di salvaguardare i più che legittimi interessi delle sue aziende e dei suoi dipendenti, come doverosamente un imprenditore è chiamato a fare, ci pare che non gli resti che imboccare l’unica strada percorribile in uno Stato di diritto: quella di dar corso ad un’azione giudiziaria. Altrimenti può continuare a inveire, suscitando però gli altrettanto legittimi dubbi e timori di chi fa il nostro lavoro: quello di fare da cassa di risonanza per altre ambizioni dell’impetuoso armatore.
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