Se sia solo voglia di primavera, questo lo vedremo tra qualche mese. Certo è che, specie in Italia, da un po’ di giorni si fanno previsioni meno fosche sulla crisi economica. Insomma, per la prima volta dallo scorso settembre, sono in molti, a partire dal ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, a scommettere che se non si vede ancora la fine del tunnel, almeno si può dire che il peggio sia passato.

 

Nello shipping, il terremoto economico è stato di portata epocale. Lo sa bene chi ha perso il posto di lavoro, in un settore che solo l’anno scorso, a Genova come nel resto del nostro Paese, prometteva di essere una risorsa e un’opportunità per centinaia di persone. Dagli headquarter di tutto il mondo, le multinazionali del mare continuano a sfornare piani di ristrutturazione e trimestrali negative.

 

In un quadro così, è quindi necessario mantenere saldi i punti di riferimento. Per non perdere la bussola, e non farsi scoraggiare. Proviamo a dare qualche numero, sulla base di una ricerca portata avanti da Oliviero Baccelli, vicedirettore del Certet della Bocconi, e presentata nei giorni scorsi al convegno organizzato a Milano da Ligurian Ports, l’associazione che riunisce i porti della Liguria, da cui passa, è bene ricordarlo, oltre la metà di tutta la merce che arriva e parte dall’Italia.

Sul fronte Italia, Baccelli individua nell’area di libero scambio del Mediterraneo la prima carta per una ripresa dei traffici. Un’area su cui si affacciano Paesi che chiuderanno il 2009 con una crescita positiva: dall’Egitto (+ 5 per cento) alla Turchia (+2 per cento), per fare alcuni esempi. «Le motivazioni per le delocalizzazioni di imprese e per il global sourcing – spiega Baccelli – in quest’area si sono rafforzate dalle svalutazioni monetarie». Gli armatori italiani continuano a investire su queste linee: Grimaldi Lines, Gnv, Ignazio Messina, Tarros. Un traffico di traghetti e container in forte concorrenza: «La portualità nazionale deve tenerne conto».

 

E qui vengono i problemi. Perché, spiega Baccelli, «l’uscita dalla crisi sarà più veloce se, e solo se, si eliminano gli elementi che frenano le reali esigenze della domanda». E cioè? «Le inefficenze delle amministrazioni pubbliche negli aspetti doganali, nella normativa relativa alla gestione degli spazi demaniali, all’autonomia finanziaria delle autorità portuali». Segue il corollario di «incertezze amministrative, pianificazioni non concertate, inutili difese di rendite di posizione. Ancora più insostenibili in fase di crisi». Sembra quindi arrivato il momento di raccogliere le idee: i porti liguri ci hanno provato, e hanno promosso la loro short list delle cose da fare.

 

In particolare, sarebbe utile secondo le Authority liguri «una moratoria giudiziaria per garantire l’accelerazione delle opere e scongiurarne la sospensione dei lavori da parte dei Tribunali amministrativi». Questa sola norma consentirebbe a Genova di sbloccare da subito investimenti già in cassa per mezzo miliardo di euro.

 

Il resto, sono desideri espressi da tempo, anche dagli operatori del settore: dogane unificate e potenziate, operative 24 ore al giorno e finanziate attraverso una minima parte del gettito fiscale che lo Stato introita attraverso i porti, ferrovie organizzate in una società unica di sistema per i porti dell’Alto Tirreno che garantisca efficienza e rapidi smistamenti da e per i porti e gli interporti. Infine, l’immediato varo di norme che consentano di coinvolgere i privati nella realizzazione di nuove infrastrutture.

 

Il mondo dei porti liguri è un ribollire di idee, ma che al momento «non ha possibilità di competere con il Nord Europa e di avvantaggiarsi del corridoio Genova-Rotterdam» come sentenzia Thomas Eckelmann, numero uno di Eurokai, la società che controlla Contship, il più grosso terminalista italiano. La soluzione? «Investimenti consistenti in servizi shuttle ferroviari merce. La ripresa del mercato container decollerà con forza nel 2011, ma le nuove navi non entreranno nei porti italiani, a parte Gioia Tauro. Il governo dovrebbe essere conscio dei rischi che ne deriveranno. Manca – conclude Eckelmann – una strategia logistica e portuale. Le carenze delle ferrovie cargo rappresenteranno uno dei principali fattori penalizzanti i porti italiani».

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 22.04.2009)