La riforma dei porti si avvia al giro finale, ma incappa nell’opposizione dei sindacati: «Sarà inevitabile l’apertura dello stato di agitazione sindacale e uno scontro sociale nei porti italiani se non saranno apportate modifiche alla bozza del testo unificato per la riforma in discussione alla Commissione lavori pubblici, comunicazione del Senato» hanno avvisato ieri, in una dichiarazione congiunta, i tre responsabili nazionali dei porti di Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, Massimo Ercolani, Ettore Torzetti e Claudio Tarlazzi.

 

Il nodo è quello del lavoro in appalto sui moli, bestia nera dei sindacati che paventano il rischio di una deregulation dannosa soprattutto dal punto di vista della sicurezza. «Prendo atto – sbotta Luigi Grillo, senatore Pdl e capogruppo della Commissione lavori pubblici e comunicazione – che i sindacati sono una delle forze della conservazione in un Paese dove la spinta del rinnovamento è quotidianamente ostacolata».

 

Grillo è l’uomo che più di altri è oggi impegnato nel compito di ridurre le distanze tra i testi di riforma studiati in questi mesi dal Parlamento e le indicazioni governative. Un puzzle difficile che al momento è stato composto in una bozza di testo unificato aperta, però, a modifiche. «Il 31 c’è un incontro a Genova proprio sulla riforma e io spero di poter presentare in quell’occasione un testo condiviso, o almeno il più condiviso possibile» si sbilanca Grillo che, scherzosamente, bolla i sindacati come “illuminati conservatori”.

 

Tutto si gioca intorno al ruolo delle ex compagnie portuali che, inquadrate all’articolo 17 della legge sui porti, operano come una sorta di agenzia interinale interna allo scalo, l’unica titolata a fornire manodopera ai terminalisti quando questi hanno bisogno di rinforzi non bastando i loro dipendenti per i picchi di traffico. Cgil Cisl e Uil intendono preservare questa unicità, mentre il testo di riforma da loro visionato “apre” al lavoro in appalto fornito anche da altre società che non siano quelle che si sono aggiudicate, tramite gara pubblica, l’autorizzazione ad operare ai sensi dell’ articolo 17 della legge sui porti.

Un monopolio senza senso per alcuni, l’unico modo per garantire sicurezza in un settore dove le morti bianche sono purtroppo frequenti secondo i sindacati.

Per Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti «le modifiche proposte comportano uno stravolgimento dell’attuale impianto legislativo con la conseguenza di rendere possibile un mercato del lavoro sempre più precario e adattato alle esclusive esigenze aziendali e di realizzare infine un sistema di appalti che genera una concorrenza distruttiva».

 

Su questo punto si cercherà, nei prossimi giorni, una quadra che metta d’accordo tutti. Ma la riforma non parla solo di organizzazione del lavoro. Il tema dei finanziamenti per le nuove opere è anzi forse il suo cuore. Su questo punto, ieri è intervenuto anche il ministro Altero Matteoli: il sistema portuale italiano, ha spiegato in un convegno a Milano, richiede un piano di «infrastrutturazione organico che comporta costi elevati» e per questo «è necessario avviare forme di partenariato pubblico-privato». Poiché «mancano i fondi pubblici necessari» per procedere con le opere necessarie a riqualificare il sistema dei porti italiani, secondo Matteoli serve una «collaborazione tra governo e privati attraverso il project-financing».

 

Oltre a questo, nella bozza di riforma è previsto il ricorso alla Cassa deposita e prestiti per assicurare alle Autorità portuali forme di finanziamento attraverso mutui pluridecennali. La possibilità invece di ricorrere a parte del gettito Iva generato dai traffici dei porti stessi appare tramontata: in un momento di difficoltà per le entrate pubbliche, l’opposizione del ministro dell’Economia è stata irremovibile.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 22.07.2009)