L’ente controllato porta in tribunale l’ente controllore: con una mossa stra-annunciata, ma che molti forse credevano sarebbe rimasta nel cassetto delle minacce senza seguito, ieri l’Autorità portuale di Genova ha concluso la stesura del ricorso al Tar contro il ministero dei Trasporti e Infrastrutture, inadempiente rispetto all’impegno preso nel 2005 con l’accordo di programma per Cornigliano che prevedeva lo stanziamento di 70 milioni da investire in infrastrutture a favore del porto.

 

In cambio, lo scalo e l’Autorità portuale rinunciavano a circa un milione di metri quadrati di aree industriali ex acciaierie che sarebbero dovute tornare al Demanio, con tutto quello che ne sarebbe conseguito in termini di sviluppo dei traffici, delle infrastrutture ma anche di canoni raccolti. «Già l’Autorità portuale fu penalizzata – chiosa Merlo -, ma almeno quel poco che fu stabilito e che ci è dovuto ci deve essere dato».

 

I soldi del patto per Cornigliano, il presidente del porto li chiede da quando si è insediato, nel 2008. Li ha chiesti al governo Prodi, poi a quello Berlusconi. I primi hanno traccheggiato, i secondi pure. Gianni Letta – «e lo ringrazio pubblicamente» – si è speso in prima persona. Senza risultato. Ora Merlo ha perso la pazienza e spara il colpo finale del ricorso ai tribunali e carte bollate: «È un atto dovuto – spiega il presidente – dopo che ho tentato invano tutte le strade istituzionali».

 

Il ricorso verrà ora notificato a tutti i partecipanti all’accordo di programma del 2005. Sono decine: ministeri (Sviluppo economico, Ambiente, Economia, Beni culturali, presidenza del Consiglio, Welfare), enti locali (Regione Liguria, Comune e provincia di Genova), sindacati, aeroporto, Ilva, Confindustria, Società per Cornigliano e altri ancora. «Se arrivano i soldi, magari in Finanziaria, lo ritiro, ma ho aspettato fin troppo: il ricorso ora parte».

 

Sandro Biasotti, candidato alla Regione per il centrodestra, coglie la palla al balzo: «Quell’accordo è sbagliato dall’inizio, sono anni che lo dico. Dovevano lavorare a Cornigliano 2700 persone, ce ne lavorano 900. Rivediamolo tutto, dando più spazi al porto. Non c’è solo la questione dei soldi. Va cambiato molto altro». A partire dalla ripartizione delle aree, già per altro finita nel mirino degli industriali qualche mese fa, quando il Secolo XIX ha rivelato che non ci sarebbe stato spazio per ospitare alcuna azienda.

 

Ora, se alle Regionali vince il centrodestra, si riparte con la giostra. Resta il fatto che quell’intesa fu firmata, a suo tempo, sì da Claudio Burlando come presidente della Regione, ma con governo di centrodestra, Claudio Scajola ministro in prima fila. Un po’ di imbarazzo di fronte a un governo che non rispetta i patti? «Si sono svegliati ora? Quei soldi andavano chiesti anni fa quando al governo c’era Prodi, ora è troppo tardi» chiude Biasotti. «Gli accordi – gli ribatte il presidente della Regione Claudio Burlando – vanno rispettati. Io sono abituato così: ho firmato un accordo di programma con l’Università che valeva il doppio dei soldi per Cornigliano e mi sono mosso in ogni direzione per trovarli».

Al netto della polemica politica, alimentata anche dalla scadenza elettorale, resta da capire i contraccolpi del ricorso. «Non credo – dice Burlando – che si arriverà a rimettere in discussione l’intesa del 2005, che riguarda cose in gran parte già fatte, a partire dalla bonifica. Il primo obiettivo è avere i soldi che spettano al porto e Merlo non poteva fare diversamente.

 

Poi, arrivati a questo punto, non mi fa paura più niente…». Nemmeno Mario Margini, assessore del Comune di Genova, si scompone: «Quello di Merlo è un atto di responsabilità verso il porto, annunciato più volte nei mesi scorsi». Nessuno, insomma, immagina il grande big bang. Ma rimane il dato – politico – di un ente che dipende dal ministero costretto a portare il governo in tribunale per avere quello che gli spetta.

 

Con i 70 milioni, sarà costruito l’autoparco e la sopraelevata portuale per i camion: «Va fatta adesso – spiega Merlo – o io nel 2015 mi trovo con nuove banchine e niente strade. Poi dicono che la città si blocca…». Che la vicenda sia una beffa, per altro, lo dicono le carte: la prima volta, quando al governo c’era Prodi, i soldi furono bloccati perché il ministero dei Trasporti rimpallava su quello delle Infrastrutture. Poi venne fuori che, siccome i porti avevano l’autonomia finanziaria (mai arrivata, in realtà), quei soldi non erano più dovuti. Infine, il governo ha ammesso che quei soldi erano dovuti ma, guarda un po’, non erano nella disponibilità di cassa. Tutto scritto passo dopo passo, nei fogli che ora arriveranno in Tribunale.

 

(da: shippingonline.ilsecoloxix.it del 04.12.2009)