Insostenibile ed estenuante – sottolineano le due organizzazioni – il periodo di quattordici lunghi anni di persecuzione giudiziaria

Oggi i rappresentanti degli armatori e dei marittimi europei hanno espresso nuovamente la loro preoccupazione per la decisione dello scorso gennaio della Corte Suprema spagnola sul caso dell’affondamento della petroliera Prestige, avvenuto alla fine del 2002 di fronte alle coste della Galizia ( del 19 novembre 2002), che ha ribaltato la sentenza della Corte provinciale di La Coruña (Galizia) condannando a due anni di carcere il capitano della nave, Apostolos Ioannis Mangouras, come autore responsabile di un «comportamento criminale sconsiderato» contro l’ambiente, con l’aggravante di aver causato «danni incalcolabili» all’ambiente marino a seguito della fuoriuscita di petrolio dalla nave. Inoltre la sentenza della Corte Suprema ha stabilito la responsabilità civile diretta della compagnia assicuratrice The London P&I Club e della controllata di Mare Shipping Inc. quale proprietaria della nave, nonché la responsabilità civile dell’International Oil Pollution Compensation Funds (IOPC Funds), il fondo internazionale per il risarcimento dei danni causati dal petrolio.
Secondo l’European Community Shipowners’ Associations (ECSA) e l’European Workers’ Transport Federation (ETF), «questa decisione non è altro che un’ulteriore prova, una di troppo, dell’ingiusto trattamento dei marittimi che ha avuto inizio già al momento dell’incidente e che, nel caso del capitano Mangouras – hanno denunciato l’associazione degli armatori europei e la federazione sindacale europea dei lavoratori del trasporto – è proseguito per un insostenibile ed estenuante periodo di quattordici lunghi anni di persecuzione giudiziaria».
ECSA ed ETF hanno sottolineato che «la sentenza della Corte provinciale aveva accertato l’innocenza del comandante Mangouras per la semplice ragione che egli aveva coraggiosamente compiuto il proprio dovere professionale nel tentativo di salvare la sua nave. Di fronte ad un rifiuto da parte delle autorità spagnole di offrire alla nave in avaria un luogo di rifugio, dove una fuoriuscita di petrolio avrebbe potuto essere contenuta – hanno ricordato le due organizzazioni – non solo il comandante, ma anche il direttore di macchina e il comandante in seconda erano rimasti a bordo della nave mentre si era aperta una falla nello scafo e il rischio di capovolgimento era drammaticamente aumentato. Sotto la pressione delle autorità spagnole, il comandante aveva dovuto prendere una serie di misure contro la sua volontà che avevano costretto la petroliera danneggiata a rimanere in mare in condizioni terribili, fino al momento in cui si spezzò in due tronconi e affondò al largo delle coste della Galizia».
ECSA ed ETF hanno ribadito di «non poter accettare che siano i marittimi a dover pagare un prezzo così pesante, mentre l’Autorità Marittima, che era stata esentata da ogni responsabilità, aveva ordinato alla nave di mantenersi fuori da qualsiasi porto di rifugio, con i ben noti effetti catastrofici sull’ambiente naturale».
«È fuori discussione – hanno denunciato ancora ECSA ed ETF – che troppo spesso i marittimi vengano utilizzati come puri e semplici capri espiatori su cui scaricare tutta la responsabilità per eventuali danni ambientali e ingiustamente citato in giudizio, a volte in flagrante violazione dei loro diritti fondamentali».
Inoltre ECSA ed ETF hanno evidenziato di temere che tale decisione «avrà un impatto negativo sulla capacità di attrazione delle carriere sul mare e, quindi, sul futuro reclutamento di giovani marittimi competenti. Proprio nel momento in cui ECSA e ETF, assieme alla Commissione Europea, stanno cercando di promuovere la professione marittima europea e renderla attraente per i giovani europei – hanno concluso le due organizzazioni – la sentenza della Corte Suprema manda un segnale del tutto sbagliato».

Articolo realizzato da InforMare S.r.l. – Riproduzione riservata