Tra il 2009 e il 2018 – sottolinea il Collettivo – le merci varie hanno segnato un rialzo del 51% mentre tempo l’occupazione è salita solo dello 0,2%
Il porto di Genova cresce, e molto, nonostante le difficoltà dell’economia e contro ogni retorica sul porto in crisi, ma il lavoro portuale non ne beneficia affatto. Lo denuncia il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) evidenziando che se tra il 2009 e il 2018 il traffico delle merci varie (container, rotabili, breakbulk), in cui lavora la quasi totalità degli addetti dipendenti e dei lavoratori della Compagnia del porto di Genova, è cresciuto in tonnellate del +51% e che in termini di teu, in particolare, il numero è cresciuto del +70% (con i rotabili aumentati del +22)%, nello stesso arco di tempo l’occupazione è salita invece solo del +0,2%, cioè – in pratica – è rimasta la stessa.
Il CALP evidenzia inoltre che se, nello stesso periodo, fra i terminalisti portuali, PSA Genova Pra’ ha perso 32 lavoratori e sono cresciuti in termini di occupazione solo Spinelli e Terminal San Giorgio, incrementi – specifica il Collettivo – attuati anche con l’inserimento in organico di lavoratori a tempo determinato, dal canto suo la compagnia portuale Culmv è sì cresciuta ma solo perché ha assorbito i soci speciali e la compagnia Pietro Chiesa, di fatto già operanti tutti nel porto. «Questo significa – osserva il CALP – che nel 2009, con lo stessa forza lavoro, ogni addetto movimentava circa 8.600 tonnellate di merce varia all’anno, mentre oggi ne movimenta quasi 13.000».
Inoltre il CALP rileva che l’aumento della produttività non è direttamente attribuibile agli investimenti dei terminalisti che nello stesso periodo hanno investito meno di 300 milioni di euro, poco più di 30 milioni all’anno in media, mentre il pubblico, ovvero lo Stato attraverso l’Autorità di Sistema Portuale, solo nel 2018 ha speso più del doppio dei terminalisti in dieci anni, a cui vanno aggiunte le centinaia di milioni degli anni precedenti.
Secondo il CALP, ciò si traduce in una socializzazione delle perdite e in una privatizzazione dei profitti e ciò avviene – denuncia il Collettivo – mentre «ogni giorno si celebrano i meriti delle imprese che investono, come se gli investimenti fossero un merito e non l’impegno assunto per ottenere la concessione», impegno – precisa il CALP – che includeva anche la promessa di assunzioni.
Il CALP segnala inoltre che si parla sempre di prospettive di crescita dei traffici e mai di lavoro, che invece è percepito come un problema, a partire dai soldi che devono essere riconosciuti alla Compagnia portuale a conguaglio delle tariffe e a sostegno del servizio di interesse generale che svolge, agli scioperi dei portuali per il contratto o per la sospensione del lavoro in caso di allerta rossa o contro l’autoproduzione. A ciò – secondo il CALP – si somma l’inerzia del sindacato incapace di condurre azioni concrete neppure a salvaguardia degli attuali posti di lavoro, a favore invece di una pace sociale che non ha portato occupazione e che invece produce licenziamenti.

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